Capoliveri  -  Isola d'Elba
La Miniera del Ginevro












Una delle zone più affascinanti e poco conosciute dai turisti che si recano all’Elba è il “promontorio” della Calamita nel comune di Capoliveri. La località (calamita) deve il suo nome  all’antica estrazione della magnetite, minerale da cui si ricava il ferro caratterizzato dalle proprietà magnetiche. I primi a cominciare l’estrazione del minerale Elbano furono gli Etruschi che non scavano lunghe gallerie ma diverse affiancate le une dalle altre, seguirono i Romani ecc.
Da Capoliveri paese un tempo di minatori ed ora “votato” al turismo si arriva nella parte più orientale del promontorio, la miniera del Ginevro è all’interno di una proprietà privata quindi si viene accompagnati dalle guide locali (prenotazione della visita al museo dei minerali Alfero Ricci a Capoliveri).
Il particolare che rende affascinante e unico questo ambiente rispetto al resto dell’isola d’Elba è il fatto che qui la “coltivazione” del minerale, oltre che effettuata a cielo aperto negli anni 30 del secolo scorso come in altre località, venne prevalentemente eseguita in galleria dagli anni 70 fino ai primi anni 80 quando scelte governative non dovute all’esaurimento del minerale ne determinarono la chiusura.
L’estrazione del ferro all’interno della miniera si sviluppò a suon di esplosivo principalmente su tre livelli (+6 metri sul livello del mare, poi - 24 metri e – 54 metri).
La miniera era dotata di un ascensore, grazie al quale veniva portato in superficie il minerale dai profondi pozzi per poi essere trasportato alla laveria dove veniva fattauna prima lavorazione non possibile all’interno della miniera. Quindi il minerale separato dalle impurità era caricato su navi che lo conducevano negli altiforni per la lavorazione.
Vicino alla vecchia struttura della laveria, c’è una splendida spiaggetta di magnetite formatasi con i detriti del medesimo minerale e qui l’acqua assume colorazioni uniche dal verde smeraldo al blu cobalto. Il percorso all’interno della miniera inizia (dopo aver ricevuto i caschi protettivi e torce presso i prefabbricati esterni)  proprio nelle vicinanze, dove si vedono ancora i bininari e i vagoncini.
Appena entrati  nella galleria, si sente lo sbalzo termico con l’esterno e la magia della miniera ci avvolge. Sono necessari alcuni minuti per abituare gli occhi alla scarsa luce artificiale presente in galleria, dopo aver percorso un centinaio di metri di fronte a noi si apre una galleria opportunamente illuminata ma sbarrata, prima che fosse realizzato l’ascensore interno era l’unico passaggio ai livelli inferiori della miniera.
L’impressionante dislivello di 60 metri che ci separa dal punto più profondo della galleria assomiglia a una discesa agli inferi, si arriva a meno 54 metri, per ora non è percorribile dai turisti per la scivolosità degli scalini che scendono verso il basso.
Poco distante troviamo quella che era la mensa dei minatori; un luogo che un tempo ospitava due tavoli senza alcun confort, il locale era anche usato come rifugio durante le esplosioni per proteggersi dalla polvere. Il primo pozzo estrattivo si raggiunge incrociando altre gallerie secondarie: è un buco immenso, dove la luce delle torce non trova il fondo, per rendersi conto della dimensione del medesimo basta lanciare un sasso come fa la guida ed ascoltare in silenzio quando questi tocca il fondo.
Da questo punto si diparte una galleria (avrebbe dovuto essere accorciata, fino a scomparire) che conduce al secondo pozzo: lo scenario è di una bellezza rara, poiché la volta crollò per un errore umano, fu calcolato male lo spessore della roccia che separava i cunicoli (fortunatamente il crollo avvenne di notte e non ci furono vittime) e da all’ora la luce e l’aria creano in questa grotta giochi di luce davvero suggestivi. Da  questo punto, dove vediamo la zona in cui venivano custoditi gli attrezzi della miniera e le divise dei minatori, iniziamo il viaggio di ritorno verso la superficie. In prossimità dell’uscita la luce si fa strada nella gallerie e cambia pure la temperatura non più fresca come nei cunicoli più prondi.

Per prenotare la visita alla miniera del Ginevro bisogna contattare il museo dei minerali Elbani Alfeo Ricci (merita di essere visto) di Capoliveri ubicato in via Palestro numero 1.

Diario di viaggio

All’isola d’Elba è possibile effettuare una visita guidata alla miniera del Ginevro solamente dopo aver prenotato l’escursione presso il museo dei minerali di Capoliveri intitolato ad Alfeo Ricci. Situata presso il monte Calamita questa miniera è l’unica scavata all’interno della montagna ed è stata attiva fino al 1982 quando scelte governative ne determinarono l’improvvisa chiusura e non per esaurimento.
Si calcola che siano ancora 150 milioni (quintali) di ferro da estrarre, la miniera ora è tenuta in stand bay ma può riprendere a funzionare in caso di necessità oppure emergenza. Nel piazzale antistante l’ingresso sono ancora visibili i prefabbricati adibiti a uffici, officina ecc. il tempo sembra essersi fermato improvvisamente… ci sono ancora camion carichi di materiale che sembrano dover partire da un momento all’atro, gru, ruspe, carrelli per il trasporto del materiale ecc.
Prima di entrare nelle gallerie vengono assegnati i caschi protettivi e relative torce, dopo una breve spiegazione nel prefabbricato della direzione (c’è la planimetria della miniera) si entra nelle gallerie. La lunghezza dei vari cunicoli ammonta a circa 7 km, in realtà solo una parte della miniera (su tre livelli distinti, da -5 a meno 54 metri) è stata attrezzata per la visita dei turisti, si percorrono le lunghe gallerie dove sono ancora presenti i piccoli binari tramite i quali il materiale era trasportato all’esterno per mezzo di un piccolo trenino.
Percorrendo le gallerie si può solo immaginare come fosse la vita del minatore in questo luogo, ora i cunicoli sono illuminati con lampadine poste ad una distanza di 10 metri l’una dall’altra, i minatori usavano esclusivamente lampade a cetilene. Fino agli anni 1950 - 1960 gli operai dovevano andare a piedi da Capoliveri alla miniera ed erano costretti ad alzarsi alle 4 del mattino e percorrere a piedi diversi km per arrivare, solo grazie ad una serie di scioperi fu messo a loro disposizione un pulmino per il trasporto dei minatori sul posto di lavoro.
All’interno della miniera ci fu solo un incidente mortale, un operaio mentre perforava la roccia con la punta diamantata del proprio “trapano” perforò un altro foro contenente gelatina esplosiva determinando l’esplosione della medesima con la conseguente morte dell’operaio, una seconda persona in seguito a questo incidente perse la vista.
Gli infortuni comunque erano parecchi e riguardavano parti del corpo quali la faccia e gli arti, spesso questi incidenti erano anche determinati dal fatto che gli operai lavoravano a cottimo. I minatori segnalavano la loro presenza in galleria lasciando la medaglietta con il numero di matricola in un apposito ambiente, riprendendo la medesima al termine della giornata lavorativa.
Tra di loro (gli operai rimanevano in galleria 8 ore al giorno) comunicavano tramite rudimentali telefoni a manovella.. in un angolo di una galleria percorsa sono ancora visibili gli strumenti usati dai minatori, dai caschi protettivi alle scatole per provocare la detonazione dell’esplosivo, nonché una grande perforatrice.
Nelle gallerie della miniera ci sono ancora le condutture dell’aria compressa necessaria per il funzionamento dei vari macchinari, quindi la stanza scavata nella roccia adibita alla mensa, i pasti dei minatori erano poveri.. pane, cipolla e tonno che si portavano da casa. Lo stesso ambiente costituiva il rifugio dalla polvere quando venivano fatte brillare le cariche di dinamite nelle gallerie.
Vi sono gli ambienti dove il minerale veniva fatto cadere dall’alto tramite rudimentali tramogge scavate nella roccia per essere caricato sui carrelli, a volte capitava  che questi“imbuti” scavati nella montagna si ostruissero da grossi massi, in tal caso i minatori tenevano bagnato con acqua i massi per alcuni giorni, se dopo questo trattamento “l’imbuto” risultava ancora ostruito si procedeva con la dinamite per rendere nuovamente libero il passaggio.
All’interno di una delle gallerie percorse si arriva in prossimità  di uno “scivolo” di 350 metri che raggiunge una quota inferiore della miniera, il percorso sebbene molto suggestivo da vedersi non è percorribile per la scivolosità degli scalini, ma è veramente impressionante vedere il percorso dall’alto e comunque illuminato. Vicino ci sono argani con cavi in acciaio che legati ai carrelli rallentavano la discesa dei minatori che li usavano per scendere alla massima profondità della miniera. All’interno delle gallerie sono stati scavati dei piccoli pozzi usati dai minatori per raggiungere le varie profondità tramite apposite scalette, questi erano pure vie di fuga di emergenza. 
In passato l’estrazione del minerale era praticata in superficie come in tante altre località Elbane, poi si cominciò l’estrazione all’interno della montagna tramite gallerie, calcoli errati da parte degli ingegneri nel determinare lo spessore della roccia che dividevano le gallerie determinò il crollo di una volta. Fortunatamente questo crollo avvenne in un momento in cui non erano presenti operai al lavoro, grazie a questo “incidente” aumentò l’aerazione nella miniera. 
 L’ultimo proprietario della miniera fu l’Italsider lo si evince da alcune tute lasciate dai minatori nelle gallerie dove sono esposti altri oggetti inerenti l’attività mineraria, nel 1982 l’estrazione ebbe termine ma per lungo tempo il lavoro in miniera è stata la principale fonte di sostentamento per gli abitanti dell’isola prima del turismo. Ritornati all’esterno si vedono la “lavanderia” dove appunto il minerale subiva una prima lavorazione prima di essere caricato sulle navi dirette agli impianti di lavorazione del ferro non presenti sull’isola come accadeva già al tempo degli Etruschi che furono i primi a cominciare l’attività estrattiva seguiti dai Romani. Per concludere una visita assolutamente da fare per quanti vanno all’isola d’Elba.

 














 

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